In tema di antropologia

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The scomunist
view post Posted on 24/1/2010, 21:51 by: The scomunist     +1   -1




CITAZIONE (nanni @ 24/1/2010, 16:40)
Vediamo allora di definire esattamente cosa si intende o cosa si dovrebbe intedere per razza, altrimenti non si arriverà mai ad alcuna conclusione.

Una prima definizione di razza può essere quella, diciamo, commerciale, facendo riferimento alle razze di animali domestici. Queste sono razze "pure", all'interno delle quali le varianti genetiche sono limitatissime. E' chiaro che per l'uomo non esiste niente del genere.

Hitler, che come giustamente dice Falangista, era un imbecille, voleva fare con l'uomo qualcosa del genere. Fortunatamente è stato fermato.

Ovviamente sia tu che Falangista, parlando di "razze" intendete qualcosa di diverso, cioè l'esistenza di razze naturali all'interno di determinate specie. Ma quand'è che si possono distinguere diverse razze all'interno di una determinata specie? Quando due popolazioni di quella specie sono rimaste isolate geneticamente abbastanza a lungo da causare differenze genetiche ma non così tanto che sia diventato impossibile l'accoppiamento interfecondo.

Prendiamo due popolazioni di una determinata razza ed isoliamole, magari un fiume che prima non esisteva ha diviso in due il territorio, e questi animali non sono in grado di guadarlo. Persino la Muraglia Cinese ha portato a differenze tra fauna e flora da una parte e dall'altra.

La deriva genetica fa il resto. Il risultato è che la razza da una parte della barriera puà avere determinate carattersitiche prevalenti e l'altra altre caratteristiche. Mettiamo che da una parte ci sono animali a pelo riccio e dall'altra a pelo liscio. Ma non è questo ad indicare la distinzione tra le due razze, si tratta di un fatto contingente, un epifenomeno.

Quello che ditingue una razza dall'altra saranno un gran numero di mutazioni, la maggior parte delle quali non hanno alcun effetto sul fenotipo, cioè sull'apparenza, degli animali, mutazioni ininfluenti, salvo che permettono, ad un esame genetico, di distinguere infallibilmente l'appartenenza razziale. Qualunque esemplare noi si esamini avrà un numero sufficente di queste mutazioni tale da permetterne l'identificazione, perché un gruppo sarà presente solo ed esclusivamente in una razza, l'altro nell'altra.

Sofisticati calcoli permettono persino di stabilire in che momento le due razze si siano separate ed abbiano cominciato a divergere. E' possibile fare lo stesso con l'uomo? La risposta è no, non esiste alcun set di caratteri che sia esclusivo di una determinata razza umana, tale da poterla definire come tale.

Se esaminaimo il genoma di un essere umano scelto a caso potremo forse attribuirgli delle parentele probabili ma non potremo mai dire con certezza che appartenga ad una determinata razza. Il motivo è molto semplice: nessuna popolazione umana è rimasta isolata abbastanza a lungo da permetterle di sviluppare una serie di caratteri propri tali da poter essere definiti come marcatori razziali. Nemmeno gli indigeni australiani, che sono la popolazione che è forse rimasta maggiormente isolata e per più tempo dal resto dell'umanità.

Si può fare una controprova mentale. Prendiamo una specie che abita un territorio abbastanza diversificato. In una sua parte si trova costretta a nutrirsi prevalentemente di erbea graminacea dalle foglie ricche si silicio e quindi molto dura, nell'altra, più umida, predilige erbe palustri dalle foglie molto più tenere.

Le popolazioni che si nutrono di graminacee sviluppano denti più robusti e con dentina più spessa di quelle che si nutrono di erbe palustri, tuttavia al confine tra i due territori le popolazioni si incrociano liberamente. Semplicemente nella zona più arida gli individui con i denti più deboli hanno maggior difficoltà a nutrirsi, e quindi a riprodursi, di quelli coi denti più robusti mentre i denti robusti daranno un qualche svantaggio, che ora non mi sforzo di immaginare, agli individui che li possiedono nell'area ad erbe palustri.

Possiamo parlare di razze in questo caso? Dal punto di vista scientifico no, il carattere "denti robusti" contrapposto a quello "denti deboli" è puramente determinato dall'ambiente. Siccome un individuo dai denti robusti e che vive nell'area a graminacee puà avere la maggior parte dei suoi antenati che vivevano nell'area ad erbe palustri, non sarà possibile individuarne l'appartenenza con un esame genetico. Anche perché una minoranza di individui dai denti robusti riuscirà comunque a sopravvivere vicino alle paludi e, viceversa, con qualche sforzo, un certo numero di individui dai denti deboli sarà comunque reperibile nelle praterie ricche di graminacee.

Applicando questo concetto all'umanità noto che tu hai parlato di razza negroide. Ora, la caratteristica "pelle scura" è molto simile a quella "denti robusti" che ho immaginato sopra. In tutte le regioni più calde ed assolate della terra si trovano individui di colore più o meno scuro. I cosiddetti negritos che vivono in estremo oriente, o i vedda, del subcontinente indiano, per fare qualche esempio.

E' chiaro che si tratta di una adattamento alle condizioni locali e che non c'è alcuna parentela privilegiata tra tutte queste popolazioni. Nella stessa Africa parlare di una razza negra, o negroide, è del tutto improprio. E' noto infatti che, gli abitanti del corno d'Africa, sono in gran parte dicendenti di migrazioni provenienti dall'Eurasia, sono caucasoidi, ma chi saprebbe distinguere un Peul (Fulano) da un Kikuiu?

Ovviamente c'è stato anche un certo rimescolamento, gli uomini quando si accoppiano difficilmente badano al colore della pelle o alle caratteristiche somatiche, ma tutto lascia intendere che queste popolazioni siano diventate scure di pelle per puro e semplice adattamento, mantenendo per il resto, un gran numero di caratteri propri delle popolazioni asiatiche ed europee.

Ecco perché le razze umane, dal punto di vista scientifico, non esistono, Tu sei libero di pensare che la genetica sia un non senso perchè si occupa dell'infinitamente piccolo, ma la scienza è un tutto integrato. Se tu preferisci badare solo all'apparenza esterna ti poni al di fuori della scienza.

Sei libero di farlo, naturalmente, ma devi essere coerente e riconoscerlo: la scienza non supporta le tue opinioni.

Io ho cercato di leggere con attenzione questo messaggio e se tu avessi letto con attenzione il mio ti saresti reso conto che non ho affatto detto che la genetica è un non senso, ho detto che se dovessimo stabilire classificazioni in base alla genetica molecolare non avrebbe senso perché da quel punto di vista, partendo dall'infinitamente piccolo, finiremmo inevitabilmente per apparire simili pure ai marziani.
Infatti la genetica molecolare si propone di capire la complessità dei meccanismi ereditari sulla base della struttura di sostanze chimiche "inanimate", insomma... se dovessimo studiare la vita sulla Terra da questo punto di vista non dovremmo stupirci di trovare eventuali somiglianze con forme di vita extraterrestri.
Era questo quello che intendevo dire, non parlar male della genetica.

In secondo luogo non è vero che la scienza mi dà torto o che non supporta le mie opinioni, sono certi scienziati che interpretano male i risultati scientifici e fanno passare quelle che sono solo "loro opinioni personali" per scienza... e a tal proposito ti sottopongo un articolo che in due parole potrei riassumere con: Razza: la genetica dice SI!

Ma prima di postarlo mi preme fare una breve precisazione a proposito dell'adattamento all'ambiente.
Ebbene, è chiaro che la differenza genetica tra gli uomini è minima proprio perchè apparteniamo alla medesima specie, attenzione SPECIE, non razza; nessuno ha mai contestato che la differenza razziale dipenda da pochi elementi, tuttavia, come hanno spiegato molti scienziati, vanno confutate certe teorie lamarkiane e, in parte, anche marxiste dell'influenza dell'ambiente come unico fattore capace di stabilire l'aspetto esteriore. È infatti falso che sia solo l'ambiente a determinare l'individuo e le razze, se così fosse Scandinavi, Lapponi ed Eschimesi dovrebbero risultare identici, tuttavia un eschimese, nonostante viva in ambienti freddi da secoli, non arriverà mai ad avere i capelli biondi e gli occhi chiari proprio perché esiste un carattere di fondo che sfugge alle meccanicistiche regole dell'adattaemente; infatti è stata evidenziata nel genoma di molti gruppi umani caratteri di fondo difficilmente mutabili o addirittura immutabili e originari. L'ambiente - sia naturale, sia storico, sia sociale, sia culturale - può solo influire sul "fenotipo", ovvero sul modo esteriore e contingente di manifestarsi, nel singolo o in un dato gruppo, di certe tendenze ereditarie e di razza, che restano sempre l'elemento primario, originario, essenziale e incoercibile.

Ed ecco la verità scientifica dell'esistenza delle razze contro l'oscurantismo scientifico di una genetica mal interpretata o interpretata in palese malafede e sacrificata sull'altare del "politicamente corretto"....

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Gli scienziati negano che esista ma i dati genetici lo confermano

LONDRA

ARMAND MARIE LEROI
Dopo che lo tsunami devastò le terre affacciate sull´Oceano Indiano, The Times of India pubblicò un articolo che titolava: Forse estinte a causa dello tsunami tribù minacciate. Le tribù in questione erano gli Onge, gli Jarawa, i Grandi Andamanesi e i Sentinelesi - abitanti delle isole Andamane, in tutto circa 400 persone. L´articolo, considerando che varie isole dell´arcipelago erano basse e nella traiettoria diretta dell´onda, e presumendo un alto numero di vittime, affermava Alcune gemme della collana di smeraldi dell´India potrebbero essere andate perdute.
La metafora è tanto suggestiva quanto azzeccata. Ma che cosa significa esattamente? Dopo tutto di fronte ad una catastrofe costata più di 150.000 vite, perché mai la sopravvivenza di poche centinaia di appartenenti a una tribù dovrebbe aver diritto a una particolare attenzione da parte nostra? Esistono varie possibili risposte a questo interrogativo. La gente delle Andamane ha uno stile di vita unico. La loro cultura materiale non va oltre qualche semplice attrezzo e la loro arte visuale è limitata a pochi motivi geometrici, è vero, ma sono cacciatori-raccoglitori, quindi una rarità nel mondo moderno. Anche i linguisti li trovano interessanti, in quanto parlano in tutto tre lingue apparentemente prive di collegamenti con altri idiomi. Ma The Times of India ha scelto un approccio un po´ diverso. Queste tribù sono speciali, ha detto, perché appartengono ai «ceppi razziali negrito», che sono «residui delle più antiche popolazioni dell´Asia e dell´Australia».

E´ un´idea antiquata, addirittura vittoriana. Chi parla ormai più di «ceppi razziali»? Dopo tutto equivarrebbe a parlare di qualcosa che secondo molti scienziati e studiosi non esiste. Se i moderni antropologi citano il concetto di razza, lo fanno invariabilmente solo per scoraggiarne l´uso e per bocciarlo. Lo stesso vale per molti genetisti. «La razza è un concetto sociale, non scientifico», sostiene il dottor Craig Venter, voce autorevole, poiché è stato il primo a "sequenziare" il genoma umano.

L´idea che le razze umane non siano altro che costrutti sociali è opinione prevalente da almeno trent´anni.
Ma ora forse le cose sono sul punto di cambiare. La prestigiosa rivista Nature Genetics ha dedicato un ampio supplemento all´interrogativo se le razze umane esistano e, in caso affermativo, che valenza abbiano. L´iniziativa editoriale era motivata in parte dal fatto che varie istituzioni sanitarie americane stanno attribuendo alla razza un ruolo importante nelle politiche per tutelare al meglio il pubblico, spesso a dispetto delle proteste degli scienziati. Nel supplemento circa due dozzine di genetisti hanno espresso le loro opinioni. Sotto il linguaggio specialistico, le frasi prudenti e la cortesia accademica, emerge chiaramente un dato: l´adesione alla tesi dei costrutti sociali si sta sfaldando. Alcuni sostengono addirittura che, se correttamente esaminati, i dati genetici dimostrano chiaramente che le razze esistono.

La supremazia della teoria del costrutto sociale può essere ricondotta a un articolo del 1972 in cui il dottor Richard Lewontin, genetista di Harward, sosteneva che la maggior parte delle variazioni genetiche umane possono essere individuate all´interno di qualunque data «razza». Considerando i geni piuttosto che i tratti somatici, affermava, un africano e un europeo non sono poi molto più diversi l´uno dall´altro rispetto a due europei. Pochi anni dopo Lewontin scrisse che la popolarità di cui continuava a godere il concetto di razza era «indice del potere esercitato dall´ideologia basata su fattori socioeconomici sulla presunta oggettività del sapere». La maggior parte degli scienziati sono individui riflessivi, di opinioni liberali e socialmente consapevoli. Questa tesi corrispondeva in pieno al loro modo di vedere.
A trent´anni di distanza i dati del dottor Lewontin paiono corretti e sono stati abbondantemente confermati da tecniche ancor più efficaci di individuazione della varietà dei geni. Il ragionamento però è sbagliato. Lewontin fece un errore elementare ma tale era il fascino della sua tesi che solo un paio di anni dopo uno statistico dell´università di Cambridge, A. W. F. Edwards, lo segnalò.
E´ facile spiegarlo. Per determinare la discendenza di 100 newyorkesi, prendere in considerazione il colore della pelle sarebbe molto utile per individuare gli europei, ma servirebbe a poco per distinguere i senegalesi dagli abitanti delle isole Salomone. Lo stesso vale per qualunque altra caratteristica del nostro corpo. La forma degli occhi, del naso, del cranio, il colore degli occhi e dei capelli, il peso, l´altezza e la villosità dei nostri corpi sono tutti elementi che, presi singolarmente, sono di scarso aiuto nel determinare le origini di un individuo.
Ma le cose cambiano se vengono considerati nell´insieme. Un certo colore della pelle tende ad associarsi ad un certo tipo di occhi, di naso, di cranio e di corporatura. Quando guardiamo uno sconosciuto ricorriamo a queste associazioni per dedurre da quale continente e persino da quale paese egli o i suoi avi provengano - e di solito non sbagliamo. In termini più astratti, le varianti fisiche umane sono correlate e le correlazioni contengono informazioni.
Le varianti genetiche che non sono scritte sui nostri volti, ma che sono individuabili solo nel genoma, mostrano correlazioni simili. Sono queste correlazioni che il dottor Lewontin sembra aver ignorato. In sostanza ha preso un gene alla volta, non riuscendo a vedere le razze. Ma se si prendono in considerazione più geni variabili (qualche centinaio) è facile individuarle.

- mentre tu erroneamente affermi che non esiste alcun set di caratteri che sia esclusivo di una determinata razza umana -

Uno studio del 2002 condotto da scienziati dell´Università della California del Sud e di Stanford ha dimostrato che suddividendo con l´ausilio del computer un campione di individui provenienti da tutto il mondo in 5 gruppi diversi in base all´affinità genetica si ottengono gruppi originari dell´Europa, dell´Asia orientale, dell´Africa, dell´America e dell´Australasia che corrispondono in linea di massima alle principali razze secondo l´antropologia tradizionale.

- questo perché effettivamente ESISTONO set di caratteri che sono esclusivi di un determinato gruppo razzale.

Uno dei vantaggi minori di questa scoperta è l´opportunità di tracciare un nuovo tipo di albero genealogico. Oggi è facile scoprire la provenienza dei nostri avi o addirittura il periodo in cui sono arrivati da vari luoghi diversi, come è stato per molti noi. Per sapere in che proporzione i tuoi geni sono africani, europei o dell´Asia orientale, bastano un tampone orale, un francobollo e 400 dollari, anche se i prezzi sono sicuramente destinati a calare.
Alla base della suddivisione nelle maggiori razze continentali non ci sono criteri fondamentali, ma di pura praticità.

Studiando un numero adeguato di geni in un numero adeguato di individui si potrebbe suddividere la popolazione mondiale in 10, 100, forse 1.000 gruppi, ciascuno locato in un qualche punto del globo. Non è ancora stato fatto con precisione ma lo sarà. Forse sarà presto possibile identificare i nostri antenati non solo come africani o europei, ma Ibo o Yoruba, forse persino celti o castigliani, o quant´altro.

Identificare le origini razziali non significa inseguire la purezza. La specie umana è irrimediabilmente promiscua. Abbiamo sempre sedotto o costretto i nostri vicini anche se hanno aspetto straniero e non capiamo una parola. Se gli ispanici, ad esempio, sono un misto recente e in evoluzione di geni europei, indiani americani e africani, gli Uighur dell´Asia centrale possono essere considerati un misto antico di 3.000 anni di geni europei occidentali e dell´Asia orientale. Persino gruppi omogenei come gli svedesi autoctoni portano l´impronta genetica di successive migrazioni anonime.
Alcuni critici giudicano che queste ambiguità svuotino di valore il concetto di razza. Non sono d´accordo. La topografia fisica del nostro mondo non può essere descritta con precisione a parole. Per esplorarla serve una carta topografica che riporti quote, linee di contorno e griglie di riferimento. Ma è difficile parlare in cifre, così diamo un nome alle configurazioni più significative del pianeta: catene montuose, altopiani, pianure. Lo facciamo a dispetto dell´intrinseca ambiguità delle parole. I monti Pennini nel Nord dell´Inghilterra sono alti ed estesi circa un decimo dell´Himalaya, ma entrambi sono indicati come catene montuose.
Lo stesso vale per la topografia genetica della nostra specie. I miliardi di individui che nel mondo hanno discendenza prevalentemente europea presentano una serie di varianti genetiche comuni raramente riscontrabili tutte insieme in chiunque altro.
Questi individui sono una razza. In scala ridotta, lo stesso vale per tre milioni di Baschi, che quindi a loro volta sono una razza. La razza è solo una semplificazione che ci consente di parlare razionalmente, benché non con grande precisione, delle differenze genetiche, piuttosto che culturali o politiche.
Ma è una semplificazione a quanto pare necessaria.

E´ particolarmente penoso vedere i genetisti umani rinnegare ipocritamente l´esistenza delle razze pur indagando la relazione genetica tra «gruppi etnici». Data la storia tormentata, persino crudele della parola «razza», è comprensibile che si ricorra ad eufemismi, ma ciò non aiuta certo il sapere, perché il termine «gruppo etnico» fonde tutte e le possibili differenze riscontrabili tra individui.

Il riconoscimento dell´esistenza delle razze dovrebbe avere vari effetti positivi. Tanto per cominciare eliminerebbe la frattura che vede governi e opinione pubblica ugualmente pronti ad accettare categorie di cui molti, forse la maggior parte degli studiosi e degli scienziati, negano l´esistenza.
Secondo, ammettere l´esistenza delle razze può migliorare l´assistenza sanitaria. Razze diverse sono predisposte a contrarre patologie diverse. Un afroamericano corre un rischio di ammalarsi di cardiopatia ipertensiva o di cancro della prostata circa tre volte maggiore rispetto ad un americano di origini europee, ma nel suo caso il rischio di sviluppare la sclerosi multipla è dimezzato. Tali differenze potrebbero derivare da fattori socioeconomici, ma nonostante ciò i genetisti hanno iniziato a cercare di stabilire differenze legate alla razza nelle frequenze delle variabili genetiche che provocano le malattie. Sembra che le stiano trovando.
La razza può anche influenzare la terapia. Gli afroamericani rispondono poco ad alcuni dei farmaci principalmente usati nel trattamento delle cardiopatie - in particolare i betabloccanti e gli inibitori dell´enzima che converte l´angiotensina. Le ditte farmaceutiche ne tengono conto. Molti nuovi farmaci oggi portano l´avvertenza che la loro efficacia può risultare ridotta per alcuni gruppi etnici o razziali. Qui, come tanto spesso avviene, il principio ispiratore è la semplice prospettiva di controversie legali.
Tali differenze sono, ovviamente, solo differenze in media. Tutti concordano che la discriminante razziale è uno strumento rozzo per prevedere chi sia destinato a contrarre determinate malattie o a rispondere a certe terapie. L´ideale sarebbe "sequenziare" il genoma di tutti prima di somministrare anche solo un´aspirina, ma finché non sarà tecnicamente possibile, è prevedibile che le classificazioni in base alla razza avranno sempre più peso in campo sanitario.
La tesi che avvalora l´importanza della razza, però, non poggia solo su basi puramente utilitaristiche E´ presente anche un fattore estetico. Siamo una specie fisicamente variabile.
Nonostante i trionfi della moderna genetica non sappiamo quasi nulla di ciò che ci rende tali. Non sappiamo perché alcuni individui hanno nasi prominenti piuttosto che schiacciati, crani arrotondati piuttosto che appuntiti, volti larghi piuttosto che allungati, capelli lisci piuttosto che ricci. Non sappiamo che cosa rende azzurri gli occhi azzurri.
Per scoprirlo si potrebbero studiare gli individui di origine razziale mista, in parte perché le differenze razziali nell´aspetto fisico sono quelle che più saltano all´occhio, ma c´è una ragione tecnica più sottile. Quando i genetisti mappano i geni, contano sul fatto di poter seguire i cromosomi dei nostri antenati per come si trasmettono da una generazione all´altra, dividendosi e mescolandosi in combinazioni imprevedibili. Ciò si rivela assai più semplice in soggetti i cui antenati provengono da luoghi assai diversi.
Questa tecnica si chiama admixture mapping (admixture=miscela, mapping= mappazione ndt). E´ stata sviluppata per individuare i geni responsabili delle differenze di carattere razziale presenti nelle malattie ereditarie ed è agli esordi dell´applicazione pratica. Ma grazie ad essa potremo forse scoprire la ricetta genetica dei capelli biondi di un norvegese, della pelle nera tendente al viola di un abitante delle isole Salomone, del volto piatto di un inuit, e degli occhi a mandorla di un cinese Han. Non guarderemo più con aria ebete ai dipinti della galleria. Sapremo fare i nomi dei pittori.
Esiste un´ultima ragione per cui la razza conta. Ci dà motivo, se non ve ne fossero già a sufficienza, di tenere in considerazione e proteggere alcune degli individui più sconosciuti ed emarginati del mondo. Riferendosi agli abitanti delle Andamane come ad appartenenti all´antico ceppo razziale negrito, l´articolo pubblicato da The Times of India usava una terminologia corretta. Negrito è il nome dato dagli antropologi ad un popolo diffuso un tempo nel sudest asiatico. Si tratta di individui di statura molto bassa, di pelle molto scura e con capelli ricciuti.
Sembrano pigmei africani migrati dalle giungle del Congo per andare a stabilirsi in un´isola tropicale, ma non lo sono.
I più recenti dati genetici suggeriscono che i negrito discendono dai primi esseri umani moderni che invasero l´Asia, circa 100.000 anni fa. Nel tempo furono invasi o assorbiti da ondate di popolazioni agricole del Neolitico e in seguito quasi spazzati via dai colonialisti britannici, spagnoli e indiani. Oggi sono confinati nella penisola malese, e in poche isole delle Filippine e delle Andamane.
Fortunatamente pare che gran parte dei negrito delle Andamane siano sopravvissuti allo tsunami di dicembre. Il destino di una tribù, i Sentinelesi, resta incerto, ma un elicottero della guardia costiera indiana inviato a controllare è stato vittima di un attacco con archi e frecce, il che è confortante. Le popolazioni negrito, ovunque si trovino, sono però così numericamente ridotte, isolate e impoverite che paiono con certezza destinate a scomparire.
Eppure anche dopo la loro scomparsa le varianti genetiche che li definivano come negrito resteranno, benché sparse, negli individui che abitano il litorale del Golfo del Bengala e del mar cinese meridionale. Resteranno visibili nella pelle di solito scura di alcuni indonesiani, nei capelli insolitamente ricci di alcuni cingalesi, nei fisici insolitamente esili di alcuni filippini. Ma la combinazione di geni unica che caratterizza i negrito, e che ha impiegato decine di migliaia di anni ad evolversi, sarà scomparsa. Una razza umana sarà andata estinta e la specie umana ne risulterà impoverita.

© New York Timesla Repubblica
Traduzione di Emilia Benghi

Fine articolo.

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Insomma, in conclusione dobbiamo imparare a distinguere le opinioni di scienziati ideologizzati e impauriti dal rischio di apparire razzisti dalla verità dei fatti.

Se tu preferisci continuare a fare oscurantismo e porti fuori dalla scienza continuando a negare l'esistenza delle razze sei libero di farlo... e troverai nella Chiesa, per sua natura retrograda, un valido sostegno a questa assurdità.
Tu preferisci stare con la politica? Io sono progressita e preferisco stare con la scienza, ma con quella libera da ogni condizionamento sia di carattere politico, sia di carattere religioso.
E con questo il discorso è chiuso dal momento che la genetica ha abbondantemente sconfessato le tesi di chi, ancora oggi, sostiene che le razze umane addirittura non esistano chiudendo colpevolmente le porte a nuove ricerche soprattutto in campo medico.

Edited by The scomunist - 25/1/2010, 02:10
 
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