In tema di antropologia

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Falangista_1
icon13  view post Posted on 23/1/2010, 14:05     +1   -1




Le razze europee esistono sul serio, perchè bisogna avere timore di affermarlo?
E' un dato scientifico obbiettivo! Io lo dico in nome della cultura! :)
 
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view post Posted on 23/1/2010, 18:01     +1   -1
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CITAZIONE (Falangista_1 @ 23/1/2010, 14:05)
Le razze europee esistono sul serio, perchè bisogna avere timore di affermarlo?
E' un dato scientifico obbiettivo! Io lo dico in nome della cultura! :)

E chi mai potrebbe metterlo in dubbio? quelle del Mediterraneo, poi, sono buonissime!
Lo dico in nome della gastronomia!

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nanni
view post Posted on 23/1/2010, 18:23     +1   -1




Il dato scientifico obbiettivo è che non esistono le razze umane ergo non esistono le razze europee.

Studi genetici e linguistici indicano poi che le popolazioni (concetto completamente diverso da razza) europee hanno le più diverse origini. Si va dai baschi, che sembrano essere un residuo delle popolazioni le quali colonizzarono l'Europa alla fine dell'ultima era glaciale ai Sardi che sarebbero collegati al ceppo berbero. Gli indoeuropei (italici, greci celti, germanici e slavi) sono strettamente collegati agli iranici ed agli indiani, altri apporti consistenti li hanno dati, spolo per fare un paio di esempi, gli Avari e gli Unni, che non erano indoeuropei.

Insomma, anche dal punto di vista etnologico troviamo che non si possa parlare di un gruppo "europeo", in quanto alcune popolazioni europee risultano maggiormente imparentate a popolazioni che vivono oltre i confini dell'Europa piuttosto che con altre popolazioni che invece, in Europa, attualmente vivono.

Senza contare gli apporti genetici occasionali, provenienti da tutte le altre popolazioni a causa di occasionali singoli "incroci" e le cui tracce sono comunque facilmente riscontrabili.

Insomma, un ipotetitco allevatore di uomini, che volesse fare con gli europei ciò che si fa con gli animali domestici (era, più o meno, l'intenzione di Hitler) si metterebbe le mani nei capelli e dovrebbe preparasi a parecchi secoli di selezione per riuscire ad ottenere qualche razza pura.

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Ps: Chrono, ma le razze del Mediterraneo vanno considerate europee? Io o qualche dubbio anche su questo...
 
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Falangista_1
view post Posted on 23/1/2010, 21:30     +1   -1




CITAZIONE (ChronoTrigger @ 23/1/2010, 18:01)
CITAZIONE (Falangista_1 @ 23/1/2010, 14:05)
Le razze europee esistono sul serio, perchè bisogna avere timore di affermarlo?
E' un dato scientifico obbiettivo! Io lo dico in nome della cultura! :)

E chi mai potrebbe metterlo in dubbio? quelle del Mediterraneo, poi, sono buonissime!
Lo dico in nome della gastronomia!

(IMG:www.afyacht.com/pesci/razza.jpg)


Si ma quello è un pesce particolare appartenente all'ordine dei RAIFORMI. Quanto vanno al kilo? :P
 
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Falangista_1
view post Posted on 23/1/2010, 21:53     +1   -1




CITAZIONE (nanni @ 23/1/2010, 18:23)
Il dato scientifico obbiettivo è che non esistono le razze umane ergo non esistono le razze europee.

Studi genetici e linguistici indicano poi che le popolazioni (concetto completamente diverso da razza) europee hanno le più diverse origini. Si va dai baschi, che sembrano essere un residuo delle popolazioni le quali colonizzarono l'Europa alla fine dell'ultima era glaciale ai Sardi che sarebbero collegati al ceppo berbero. Gli indoeuropei (italici, greci celti, germanici e slavi) sono strettamente collegati agli iranici ed agli indiani, altri apporti consistenti li hanno dati, spolo per fare un paio di esempi, gli Avari e gli Unni, che non erano indoeuropei.

Insomma, anche dal punto di vista etnologico troviamo che non si possa parlare di un gruppo "europeo", in quanto alcune popolazioni europee risultano maggiormente imparentate a popolazioni che vivono oltre i confini dell'Europa piuttosto che con altre popolazioni che invece, in Europa, attualmente vivono.

Senza contare gli apporti genetici occasionali, provenienti da tutte le altre popolazioni a causa di occasionali singoli "incroci" e le cui tracce sono comunque facilmente riscontrabili.

Insomma, un ipotetitco allevatore di uomini, che volesse fare con gli europei ciò che si fa con gli animali domestici (era, più o meno, l'intenzione di Hitler) si metterebbe le mani nei capelli e dovrebbe preparasi a parecchi secoli di selezione per riuscire ad ottenere qualche razza pura.

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Ps: Chrono, ma le razze del Mediterraneo vanno considerate europee? Io o qualche dubbio anche su questo...

Che le razze non esistano perchè qualche pseudo scienziato avrebbe avuto l'ardire di tentare di dimostrarlo, è una grossa menzogna.
E' il DNA dei vari gruppi razziali, sia umani che non , a parlare chiaro!
I caratteri morfologici vorranno pure significare un qualcosa. Ogni caratteristica somatica, sia a livello razziale collettivo che individuale è sempre espressione di un determinato tipo di genoma. Ciò non toglie che ci siano caratteristiche che accomunino tutti i gruppi umani nella comune origine , come ad es. i 4 gruppi sanguigni. Tralasciando quel cretino di Hilter che in tema di antropologia razzaile non capiva nulla, mi sembra ovvio che le varie stirpi indo-europee presentino ai bordi del loro areale geografico di diffusione delle "sfumature" tipologiche , per gli ovvi contatti con le popolazioni uralo-altaiche e siberiane a nord- est e con i camito -semiti a sud.


Edited by Falangista_1 - 24/1/2010, 10:38
 
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nanni
view post Posted on 23/1/2010, 23:32     +1   -1




No, guarda Falangista che la scienza la fanno gli scienziati, e se la scienza dice che le razze umane, dal punto di vista biologico, non esistono, questa è la verità scientifica.

Poi uno può anche dire che se ne sbatte e scegliere di credere a verità di altro genere, ma non mettere in bocca alla scienza ciò che la scienza non dice.

Altro discorso è l'origine delle popolazioni europee, che è indiscutibilmente eterogeneo. Quelle classificate genericamente come "indoeuropee" non somigliano alle popolazioni iraniche perché hanno avuto contatti con queste ultime, ma perché la loro provenienza è quella. Un ramo dello stesso gruppo si spostò verso oriente, colonizzando l'India, da qui la denominazione indo-europea.

Gli indoeuropei, quelli che si diressero verso l'Europa, si sovrapposero ad altre popolazioni che vivevano in loco, probabilmente provenienti dal Nordafrica, o comunque strettamente imparentate con quelle, in gran parte sostiturndole ma lasciando alcune enclaves, in particolare quella basca, ed assimilandone altre.

Successivamente ci sono stati nuovi apporti, per esempio quello delle popolazioni parlanti lingue del gruppo ugro-finnico, a completare il mosaico che rende l'Europa un luogo per niente diverso dal resto del mondo per il modello di distribuzione delle popolazioni che comporta.
 
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The scomunist
view post Posted on 24/1/2010, 14:56     +1   -1




CITAZIONE (nanni @ 23/1/2010, 18:23)
Il dato scientifico obbiettivo è che non esistono le razze umane ergo non esistono le razze europee.

Studi genetici e linguistici indicano poi che le popolazioni (concetto completamente diverso da razza) europee hanno le più diverse origini. Si va dai baschi, che sembrano essere un residuo delle popolazioni le quali colonizzarono l'Europa alla fine dell'ultima era glaciale ai Sardi che sarebbero collegati al ceppo berbero. Gli indoeuropei (italici, greci celti, germanici e slavi) sono strettamente collegati agli iranici ed agli indiani, altri apporti consistenti li hanno dati, spolo per fare un paio di esempi, gli Avari e gli Unni, che non erano indoeuropei.

Insomma, anche dal punto di vista etnologico troviamo che non si possa parlare di un gruppo "europeo", in quanto alcune popolazioni europee risultano maggiormente imparentate a popolazioni che vivono oltre i confini dell'Europa piuttosto che con altre popolazioni che invece, in Europa, attualmente vivono.

Senza contare gli apporti genetici occasionali, provenienti da tutte le altre popolazioni a causa di occasionali singoli "incroci" e le cui tracce sono comunque facilmente riscontrabili.

Insomma, un ipotetitco allevatore di uomini, che volesse fare con gli europei ciò che si fa con gli animali domestici (era, più o meno, l'intenzione di Hitler) si metterebbe le mani nei capelli e dovrebbe preparasi a parecchi secoli di selezione per riuscire ad ottenere qualche razza pura.

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Ps: Chrono, ma le razze del Mediterraneo vanno considerate europee? Io o qualche dubbio anche su questo...

Forse potrai dire che non esistono razze corrispondenti ad una nazione o a un continente (forse fatta eccezione per l'Islanda), ma negare che esistano, pur nella loro fisiologica varietà interna, i gruppi razziali (leucodermi, melanodermi e xantodermi) è davvero ridicolo. Su può discutere se tale terminologia sia corretta o meno, si può parlare di caucasoidi, mongoloidi, negroidi, australoidi, si può cercare una nomenclatura condivisa in tutto il mondo scientifico, ma non si può negare che, nonostante le normali "sfumature" che si possono osservare nei luoghi in cui due gruppi vengono a contatto, le razze umane (che in fondo sono poche) non esistano. La "razza" è una varietà intraspecifica e non è detto che debba per forza coincidere col colore della pelle, infatti confermo che gli europei geneticamente sono simili agli indiani e agli iranici, proprio perché al di là del colore della pelle la struttura anatomica, specialmente quella delle ossa facciali e del cranio, sono praticamente uguali, mentre sono decisamente diverse quelle dei mongoloidi e dei negroidi.

L'esistenza delle razze di solito viene negata nel maldestro tentativo di scoraggiare la discriminazione razziale, ma non è negando la verità che è sotto gli occhi di tutti che si combatte l'odio razziale. Uno scienziato serio non dovrebbe dire una cosa simile per farsi pubblicità negli ambienti scientifici o per sacrificare la scienza antropologica sull'altare del "politicamente corretto", affermando con leggerezza che le razze non esistono, ma educare al rispetto della diversità, affermare che la diversità esiste ed è una ricchezza.

Inutile che mi tirate fuori Cavalli Sforza, la genetica molecolare: certe interpretazioni non portano a nessuna conclusione per il semplice motivo che analizzare una forma di vita e classificarla partendo dall'osservazione dell' "infinitamente piccolo" è un non senso, infatti sotto tale punto di vista potremmo essere in fondo simili anche ai marziani.

Se le razze non esistono, come mai l'art. 3 della Costituzione della repubblica Italiana recita:
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".
Forse la Costituzione è razzista?
Perché in realtà la differenza razziale non sfugge alla percezione dei sensi e per fortuna negli ambienti scientifici gli scienziati seri che lo ammettono non mancano. Quindi non è vero che la scienza dice che le razze non esistono, il dibattito non è affatto chiuso.
 
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nanni
view post Posted on 24/1/2010, 16:40     +1   -1




Vediamo allora di definire esattamente cosa si intende o cosa si dovrebbe intedere per razza, altrimenti non si arriverà mai ad alcuna conclusione.

Una prima definizione di razza può essere quella, diciamo, commerciale, facendo riferimento alle razze di animali domestici. Queste sono razze "pure", all'interno delle quali le varianti genetiche sono limitatissime. E' chiaro che per l'uomo non esiste niente del genere.

Hitler, che come giustamente dice Falangista, era un imbecille, voleva fare con l'uomo qualcosa del genere. Fortunatamente è stato fermato.

Ovviamente sia tu che Falangista, parlando di "razze" intendete qualcosa di diverso, cioè l'esistenza di razze naturali all'interno di determinate specie. Ma quand'è che si possono distinguere diverse razze all'interno di una determinata specie? Quando due popolazioni di quella specie sono rimaste isolate geneticamente abbastanza a lungo da causare differenze genetiche ma non così tanto che sia diventato impossibile l'accoppiamento interfecondo.

Prendiamo due popolazioni di una determinata razza ed isoliamole, magari un fiume che prima non esisteva ha diviso in due il territorio, e questi animali non sono in grado di guadarlo. Persino la Muraglia Cinese ha portato a differenze tra fauna e flora da una parte e dall'altra.

La deriva genetica fa il resto. Il risultato è che la razza da una parte della barriera puà avere determinate carattersitiche prevalenti e l'altra altre caratteristiche. Mettiamo che da una parte ci sono animali a pelo riccio e dall'altra a pelo liscio. Ma non è questo ad indicare la distinzione tra le due razze, si tratta di un fatto contingente, un epifenomeno.

Quello che ditingue una razza dall'altra saranno un gran numero di mutazioni, la maggior parte delle quali non hanno alcun effetto sul fenotipo, cioè sull'apparenza, degli animali, mutazioni ininfluenti, salvo che permettono, ad un esame genetico, di distinguere infallibilmente l'appartenenza razziale. Qualunque esemplare noi si esamini avrà un numero sufficente di queste mutazioni tale da permetterne l'identificazione, perché un gruppo sarà presente solo ed esclusivamente in una razza, l'altro nell'altra.

Sofisticati calcoli permettono persino di stabilire in che momento le due razze si siano separate ed abbiano cominciato a divergere. E' possibile fare lo stesso con l'uomo? La risposta è no, non esiste alcun set di caratteri che sia esclusivo di una determinata razza umana, tale da poterla definire come tale.

Se esaminaimo il genoma di un essere umano scelto a caso potremo forse attribuirgli delle parentele probabili ma non potremo mai dire con certezza che appartenga ad una determinata razza. Il motivo è molto semplice: nessuna popolazione umana è rimasta isolata abbastanza a lungo da permetterle di sviluppare una serie di caratteri propri tali da poter essere definiti come marcatori razziali. Nemmeno gli indigeni australiani, che sono la popolazione che è forse rimasta maggiormente isolata e per più tempo dal resto dell'umanità.

Si può fare una controprova mentale. Prendiamo una specie che abita un territorio abbastanza diversificato. In una sua parte si trova costretta a nutrirsi prevalentemente di erbea graminacea dalle foglie ricche si silicio e quindi molto dura, nell'altra, più umida, predilige erbe palustri dalle foglie molto più tenere.

Le popolazioni che si nutrono di graminacee sviluppano denti più robusti e con dentina più spessa di quelle che si nutrono di erbe palustri, tuttavia al confine tra i due territori le popolazioni si incrociano liberamente. Semplicemente nella zona più arida gli individui con i denti più deboli hanno maggior difficoltà a nutrirsi, e quindi a riprodursi, di quelli coi denti più robusti mentre i denti robusti daranno un qualche svantaggio, che ora non mi sforzo di immaginare, agli individui che li possiedono nell'area ad erbe palustri.

Possiamo parlare di razze in questo caso? Dal punto di vista scientifico no, il carattere "denti robusti" contrapposto a quello "denti deboli" è puramente determinato dall'ambiente. Siccome un individuo dai denti robusti e che vive nell'area a graminacee puà avere la maggior parte dei suoi antenati che vivevano nell'area ad erbe palustri, non sarà possibile individuarne l'appartenenza con un esame genetico. Anche perché una minoranza di individui dai denti robusti riuscirà comunque a sopravvivere vicino alle paludi e, viceversa, con qualche sforzo, un certo numero di individui dai denti deboli sarà comunque reperibile nelle praterie ricche di graminacee.

Applicando questo concetto all'umanità noto che tu hai parlato di razza negroide. Ora, la caratteristica "pelle scura" è molto simile a quella "denti robusti" che ho immaginato sopra. In tutte le regioni più calde ed assolate della terra si trovano individui di colore più o meno scuro. I cosiddetti negritos che vivono in estremo oriente, o i vedda, del subcontinente indiano, per fare qualche esempio.

E' chiaro che si tratta di una adattamento alle condizioni locali e che non c'è alcuna parentela privilegiata tra tutte queste popolazioni. Nella stessa Africa parlare di una razza negra, o negroide, è del tutto improprio. E' noto infatti che, gli abitanti del corno d'Africa, sono in gran parte dicendenti di migrazioni provenienti dall'Eurasia, sono caucasoidi, ma chi saprebbe distinguere un Peul (Fulano) da un Kikuiu?

Ovviamente c'è stato anche un certo rimescolamento, gli uomini quando si accoppiano difficilmente badano al colore della pelle o alle caratteristiche somatiche, ma tutto lascia intendere che queste popolazioni siano diventate scure di pelle per puro e semplice adattamento, mantenendo per il resto, un gran numero di caratteri propri delle popolazioni asiatiche ed europee.

Ecco perché le razze umane, dal punto di vista scientifico, non esistono, Tu sei libero di pensare che la genetica sia un non senso perchè si occupa dell'infinitamente piccolo, ma la scienza è un tutto integrato. Se tu preferisci badare solo all'apparenza esterna ti poni al di fuori della scienza.

Sei libero di farlo, naturalmente, ma devi essere coerente e riconoscerlo: la scienza non supporta le tue opinioni.
 
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The scomunist
view post Posted on 24/1/2010, 21:51     +1   -1




CITAZIONE (nanni @ 24/1/2010, 16:40)
Vediamo allora di definire esattamente cosa si intende o cosa si dovrebbe intedere per razza, altrimenti non si arriverà mai ad alcuna conclusione.

Una prima definizione di razza può essere quella, diciamo, commerciale, facendo riferimento alle razze di animali domestici. Queste sono razze "pure", all'interno delle quali le varianti genetiche sono limitatissime. E' chiaro che per l'uomo non esiste niente del genere.

Hitler, che come giustamente dice Falangista, era un imbecille, voleva fare con l'uomo qualcosa del genere. Fortunatamente è stato fermato.

Ovviamente sia tu che Falangista, parlando di "razze" intendete qualcosa di diverso, cioè l'esistenza di razze naturali all'interno di determinate specie. Ma quand'è che si possono distinguere diverse razze all'interno di una determinata specie? Quando due popolazioni di quella specie sono rimaste isolate geneticamente abbastanza a lungo da causare differenze genetiche ma non così tanto che sia diventato impossibile l'accoppiamento interfecondo.

Prendiamo due popolazioni di una determinata razza ed isoliamole, magari un fiume che prima non esisteva ha diviso in due il territorio, e questi animali non sono in grado di guadarlo. Persino la Muraglia Cinese ha portato a differenze tra fauna e flora da una parte e dall'altra.

La deriva genetica fa il resto. Il risultato è che la razza da una parte della barriera puà avere determinate carattersitiche prevalenti e l'altra altre caratteristiche. Mettiamo che da una parte ci sono animali a pelo riccio e dall'altra a pelo liscio. Ma non è questo ad indicare la distinzione tra le due razze, si tratta di un fatto contingente, un epifenomeno.

Quello che ditingue una razza dall'altra saranno un gran numero di mutazioni, la maggior parte delle quali non hanno alcun effetto sul fenotipo, cioè sull'apparenza, degli animali, mutazioni ininfluenti, salvo che permettono, ad un esame genetico, di distinguere infallibilmente l'appartenenza razziale. Qualunque esemplare noi si esamini avrà un numero sufficente di queste mutazioni tale da permetterne l'identificazione, perché un gruppo sarà presente solo ed esclusivamente in una razza, l'altro nell'altra.

Sofisticati calcoli permettono persino di stabilire in che momento le due razze si siano separate ed abbiano cominciato a divergere. E' possibile fare lo stesso con l'uomo? La risposta è no, non esiste alcun set di caratteri che sia esclusivo di una determinata razza umana, tale da poterla definire come tale.

Se esaminaimo il genoma di un essere umano scelto a caso potremo forse attribuirgli delle parentele probabili ma non potremo mai dire con certezza che appartenga ad una determinata razza. Il motivo è molto semplice: nessuna popolazione umana è rimasta isolata abbastanza a lungo da permetterle di sviluppare una serie di caratteri propri tali da poter essere definiti come marcatori razziali. Nemmeno gli indigeni australiani, che sono la popolazione che è forse rimasta maggiormente isolata e per più tempo dal resto dell'umanità.

Si può fare una controprova mentale. Prendiamo una specie che abita un territorio abbastanza diversificato. In una sua parte si trova costretta a nutrirsi prevalentemente di erbea graminacea dalle foglie ricche si silicio e quindi molto dura, nell'altra, più umida, predilige erbe palustri dalle foglie molto più tenere.

Le popolazioni che si nutrono di graminacee sviluppano denti più robusti e con dentina più spessa di quelle che si nutrono di erbe palustri, tuttavia al confine tra i due territori le popolazioni si incrociano liberamente. Semplicemente nella zona più arida gli individui con i denti più deboli hanno maggior difficoltà a nutrirsi, e quindi a riprodursi, di quelli coi denti più robusti mentre i denti robusti daranno un qualche svantaggio, che ora non mi sforzo di immaginare, agli individui che li possiedono nell'area ad erbe palustri.

Possiamo parlare di razze in questo caso? Dal punto di vista scientifico no, il carattere "denti robusti" contrapposto a quello "denti deboli" è puramente determinato dall'ambiente. Siccome un individuo dai denti robusti e che vive nell'area a graminacee puà avere la maggior parte dei suoi antenati che vivevano nell'area ad erbe palustri, non sarà possibile individuarne l'appartenenza con un esame genetico. Anche perché una minoranza di individui dai denti robusti riuscirà comunque a sopravvivere vicino alle paludi e, viceversa, con qualche sforzo, un certo numero di individui dai denti deboli sarà comunque reperibile nelle praterie ricche di graminacee.

Applicando questo concetto all'umanità noto che tu hai parlato di razza negroide. Ora, la caratteristica "pelle scura" è molto simile a quella "denti robusti" che ho immaginato sopra. In tutte le regioni più calde ed assolate della terra si trovano individui di colore più o meno scuro. I cosiddetti negritos che vivono in estremo oriente, o i vedda, del subcontinente indiano, per fare qualche esempio.

E' chiaro che si tratta di una adattamento alle condizioni locali e che non c'è alcuna parentela privilegiata tra tutte queste popolazioni. Nella stessa Africa parlare di una razza negra, o negroide, è del tutto improprio. E' noto infatti che, gli abitanti del corno d'Africa, sono in gran parte dicendenti di migrazioni provenienti dall'Eurasia, sono caucasoidi, ma chi saprebbe distinguere un Peul (Fulano) da un Kikuiu?

Ovviamente c'è stato anche un certo rimescolamento, gli uomini quando si accoppiano difficilmente badano al colore della pelle o alle caratteristiche somatiche, ma tutto lascia intendere che queste popolazioni siano diventate scure di pelle per puro e semplice adattamento, mantenendo per il resto, un gran numero di caratteri propri delle popolazioni asiatiche ed europee.

Ecco perché le razze umane, dal punto di vista scientifico, non esistono, Tu sei libero di pensare che la genetica sia un non senso perchè si occupa dell'infinitamente piccolo, ma la scienza è un tutto integrato. Se tu preferisci badare solo all'apparenza esterna ti poni al di fuori della scienza.

Sei libero di farlo, naturalmente, ma devi essere coerente e riconoscerlo: la scienza non supporta le tue opinioni.

Io ho cercato di leggere con attenzione questo messaggio e se tu avessi letto con attenzione il mio ti saresti reso conto che non ho affatto detto che la genetica è un non senso, ho detto che se dovessimo stabilire classificazioni in base alla genetica molecolare non avrebbe senso perché da quel punto di vista, partendo dall'infinitamente piccolo, finiremmo inevitabilmente per apparire simili pure ai marziani.
Infatti la genetica molecolare si propone di capire la complessità dei meccanismi ereditari sulla base della struttura di sostanze chimiche "inanimate", insomma... se dovessimo studiare la vita sulla Terra da questo punto di vista non dovremmo stupirci di trovare eventuali somiglianze con forme di vita extraterrestri.
Era questo quello che intendevo dire, non parlar male della genetica.

In secondo luogo non è vero che la scienza mi dà torto o che non supporta le mie opinioni, sono certi scienziati che interpretano male i risultati scientifici e fanno passare quelle che sono solo "loro opinioni personali" per scienza... e a tal proposito ti sottopongo un articolo che in due parole potrei riassumere con: Razza: la genetica dice SI!

Ma prima di postarlo mi preme fare una breve precisazione a proposito dell'adattamento all'ambiente.
Ebbene, è chiaro che la differenza genetica tra gli uomini è minima proprio perchè apparteniamo alla medesima specie, attenzione SPECIE, non razza; nessuno ha mai contestato che la differenza razziale dipenda da pochi elementi, tuttavia, come hanno spiegato molti scienziati, vanno confutate certe teorie lamarkiane e, in parte, anche marxiste dell'influenza dell'ambiente come unico fattore capace di stabilire l'aspetto esteriore. È infatti falso che sia solo l'ambiente a determinare l'individuo e le razze, se così fosse Scandinavi, Lapponi ed Eschimesi dovrebbero risultare identici, tuttavia un eschimese, nonostante viva in ambienti freddi da secoli, non arriverà mai ad avere i capelli biondi e gli occhi chiari proprio perché esiste un carattere di fondo che sfugge alle meccanicistiche regole dell'adattaemente; infatti è stata evidenziata nel genoma di molti gruppi umani caratteri di fondo difficilmente mutabili o addirittura immutabili e originari. L'ambiente - sia naturale, sia storico, sia sociale, sia culturale - può solo influire sul "fenotipo", ovvero sul modo esteriore e contingente di manifestarsi, nel singolo o in un dato gruppo, di certe tendenze ereditarie e di razza, che restano sempre l'elemento primario, originario, essenziale e incoercibile.

Ed ecco la verità scientifica dell'esistenza delle razze contro l'oscurantismo scientifico di una genetica mal interpretata o interpretata in palese malafede e sacrificata sull'altare del "politicamente corretto"....

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Gli scienziati negano che esista ma i dati genetici lo confermano

LONDRA

ARMAND MARIE LEROI
Dopo che lo tsunami devastò le terre affacciate sull´Oceano Indiano, The Times of India pubblicò un articolo che titolava: Forse estinte a causa dello tsunami tribù minacciate. Le tribù in questione erano gli Onge, gli Jarawa, i Grandi Andamanesi e i Sentinelesi - abitanti delle isole Andamane, in tutto circa 400 persone. L´articolo, considerando che varie isole dell´arcipelago erano basse e nella traiettoria diretta dell´onda, e presumendo un alto numero di vittime, affermava Alcune gemme della collana di smeraldi dell´India potrebbero essere andate perdute.
La metafora è tanto suggestiva quanto azzeccata. Ma che cosa significa esattamente? Dopo tutto di fronte ad una catastrofe costata più di 150.000 vite, perché mai la sopravvivenza di poche centinaia di appartenenti a una tribù dovrebbe aver diritto a una particolare attenzione da parte nostra? Esistono varie possibili risposte a questo interrogativo. La gente delle Andamane ha uno stile di vita unico. La loro cultura materiale non va oltre qualche semplice attrezzo e la loro arte visuale è limitata a pochi motivi geometrici, è vero, ma sono cacciatori-raccoglitori, quindi una rarità nel mondo moderno. Anche i linguisti li trovano interessanti, in quanto parlano in tutto tre lingue apparentemente prive di collegamenti con altri idiomi. Ma The Times of India ha scelto un approccio un po´ diverso. Queste tribù sono speciali, ha detto, perché appartengono ai «ceppi razziali negrito», che sono «residui delle più antiche popolazioni dell´Asia e dell´Australia».

E´ un´idea antiquata, addirittura vittoriana. Chi parla ormai più di «ceppi razziali»? Dopo tutto equivarrebbe a parlare di qualcosa che secondo molti scienziati e studiosi non esiste. Se i moderni antropologi citano il concetto di razza, lo fanno invariabilmente solo per scoraggiarne l´uso e per bocciarlo. Lo stesso vale per molti genetisti. «La razza è un concetto sociale, non scientifico», sostiene il dottor Craig Venter, voce autorevole, poiché è stato il primo a "sequenziare" il genoma umano.

L´idea che le razze umane non siano altro che costrutti sociali è opinione prevalente da almeno trent´anni.
Ma ora forse le cose sono sul punto di cambiare. La prestigiosa rivista Nature Genetics ha dedicato un ampio supplemento all´interrogativo se le razze umane esistano e, in caso affermativo, che valenza abbiano. L´iniziativa editoriale era motivata in parte dal fatto che varie istituzioni sanitarie americane stanno attribuendo alla razza un ruolo importante nelle politiche per tutelare al meglio il pubblico, spesso a dispetto delle proteste degli scienziati. Nel supplemento circa due dozzine di genetisti hanno espresso le loro opinioni. Sotto il linguaggio specialistico, le frasi prudenti e la cortesia accademica, emerge chiaramente un dato: l´adesione alla tesi dei costrutti sociali si sta sfaldando. Alcuni sostengono addirittura che, se correttamente esaminati, i dati genetici dimostrano chiaramente che le razze esistono.

La supremazia della teoria del costrutto sociale può essere ricondotta a un articolo del 1972 in cui il dottor Richard Lewontin, genetista di Harward, sosteneva che la maggior parte delle variazioni genetiche umane possono essere individuate all´interno di qualunque data «razza». Considerando i geni piuttosto che i tratti somatici, affermava, un africano e un europeo non sono poi molto più diversi l´uno dall´altro rispetto a due europei. Pochi anni dopo Lewontin scrisse che la popolarità di cui continuava a godere il concetto di razza era «indice del potere esercitato dall´ideologia basata su fattori socioeconomici sulla presunta oggettività del sapere». La maggior parte degli scienziati sono individui riflessivi, di opinioni liberali e socialmente consapevoli. Questa tesi corrispondeva in pieno al loro modo di vedere.
A trent´anni di distanza i dati del dottor Lewontin paiono corretti e sono stati abbondantemente confermati da tecniche ancor più efficaci di individuazione della varietà dei geni. Il ragionamento però è sbagliato. Lewontin fece un errore elementare ma tale era il fascino della sua tesi che solo un paio di anni dopo uno statistico dell´università di Cambridge, A. W. F. Edwards, lo segnalò.
E´ facile spiegarlo. Per determinare la discendenza di 100 newyorkesi, prendere in considerazione il colore della pelle sarebbe molto utile per individuare gli europei, ma servirebbe a poco per distinguere i senegalesi dagli abitanti delle isole Salomone. Lo stesso vale per qualunque altra caratteristica del nostro corpo. La forma degli occhi, del naso, del cranio, il colore degli occhi e dei capelli, il peso, l´altezza e la villosità dei nostri corpi sono tutti elementi che, presi singolarmente, sono di scarso aiuto nel determinare le origini di un individuo.
Ma le cose cambiano se vengono considerati nell´insieme. Un certo colore della pelle tende ad associarsi ad un certo tipo di occhi, di naso, di cranio e di corporatura. Quando guardiamo uno sconosciuto ricorriamo a queste associazioni per dedurre da quale continente e persino da quale paese egli o i suoi avi provengano - e di solito non sbagliamo. In termini più astratti, le varianti fisiche umane sono correlate e le correlazioni contengono informazioni.
Le varianti genetiche che non sono scritte sui nostri volti, ma che sono individuabili solo nel genoma, mostrano correlazioni simili. Sono queste correlazioni che il dottor Lewontin sembra aver ignorato. In sostanza ha preso un gene alla volta, non riuscendo a vedere le razze. Ma se si prendono in considerazione più geni variabili (qualche centinaio) è facile individuarle.

- mentre tu erroneamente affermi che non esiste alcun set di caratteri che sia esclusivo di una determinata razza umana -

Uno studio del 2002 condotto da scienziati dell´Università della California del Sud e di Stanford ha dimostrato che suddividendo con l´ausilio del computer un campione di individui provenienti da tutto il mondo in 5 gruppi diversi in base all´affinità genetica si ottengono gruppi originari dell´Europa, dell´Asia orientale, dell´Africa, dell´America e dell´Australasia che corrispondono in linea di massima alle principali razze secondo l´antropologia tradizionale.

- questo perché effettivamente ESISTONO set di caratteri che sono esclusivi di un determinato gruppo razzale.

Uno dei vantaggi minori di questa scoperta è l´opportunità di tracciare un nuovo tipo di albero genealogico. Oggi è facile scoprire la provenienza dei nostri avi o addirittura il periodo in cui sono arrivati da vari luoghi diversi, come è stato per molti noi. Per sapere in che proporzione i tuoi geni sono africani, europei o dell´Asia orientale, bastano un tampone orale, un francobollo e 400 dollari, anche se i prezzi sono sicuramente destinati a calare.
Alla base della suddivisione nelle maggiori razze continentali non ci sono criteri fondamentali, ma di pura praticità.

Studiando un numero adeguato di geni in un numero adeguato di individui si potrebbe suddividere la popolazione mondiale in 10, 100, forse 1.000 gruppi, ciascuno locato in un qualche punto del globo. Non è ancora stato fatto con precisione ma lo sarà. Forse sarà presto possibile identificare i nostri antenati non solo come africani o europei, ma Ibo o Yoruba, forse persino celti o castigliani, o quant´altro.

Identificare le origini razziali non significa inseguire la purezza. La specie umana è irrimediabilmente promiscua. Abbiamo sempre sedotto o costretto i nostri vicini anche se hanno aspetto straniero e non capiamo una parola. Se gli ispanici, ad esempio, sono un misto recente e in evoluzione di geni europei, indiani americani e africani, gli Uighur dell´Asia centrale possono essere considerati un misto antico di 3.000 anni di geni europei occidentali e dell´Asia orientale. Persino gruppi omogenei come gli svedesi autoctoni portano l´impronta genetica di successive migrazioni anonime.
Alcuni critici giudicano che queste ambiguità svuotino di valore il concetto di razza. Non sono d´accordo. La topografia fisica del nostro mondo non può essere descritta con precisione a parole. Per esplorarla serve una carta topografica che riporti quote, linee di contorno e griglie di riferimento. Ma è difficile parlare in cifre, così diamo un nome alle configurazioni più significative del pianeta: catene montuose, altopiani, pianure. Lo facciamo a dispetto dell´intrinseca ambiguità delle parole. I monti Pennini nel Nord dell´Inghilterra sono alti ed estesi circa un decimo dell´Himalaya, ma entrambi sono indicati come catene montuose.
Lo stesso vale per la topografia genetica della nostra specie. I miliardi di individui che nel mondo hanno discendenza prevalentemente europea presentano una serie di varianti genetiche comuni raramente riscontrabili tutte insieme in chiunque altro.
Questi individui sono una razza. In scala ridotta, lo stesso vale per tre milioni di Baschi, che quindi a loro volta sono una razza. La razza è solo una semplificazione che ci consente di parlare razionalmente, benché non con grande precisione, delle differenze genetiche, piuttosto che culturali o politiche.
Ma è una semplificazione a quanto pare necessaria.

E´ particolarmente penoso vedere i genetisti umani rinnegare ipocritamente l´esistenza delle razze pur indagando la relazione genetica tra «gruppi etnici». Data la storia tormentata, persino crudele della parola «razza», è comprensibile che si ricorra ad eufemismi, ma ciò non aiuta certo il sapere, perché il termine «gruppo etnico» fonde tutte e le possibili differenze riscontrabili tra individui.

Il riconoscimento dell´esistenza delle razze dovrebbe avere vari effetti positivi. Tanto per cominciare eliminerebbe la frattura che vede governi e opinione pubblica ugualmente pronti ad accettare categorie di cui molti, forse la maggior parte degli studiosi e degli scienziati, negano l´esistenza.
Secondo, ammettere l´esistenza delle razze può migliorare l´assistenza sanitaria. Razze diverse sono predisposte a contrarre patologie diverse. Un afroamericano corre un rischio di ammalarsi di cardiopatia ipertensiva o di cancro della prostata circa tre volte maggiore rispetto ad un americano di origini europee, ma nel suo caso il rischio di sviluppare la sclerosi multipla è dimezzato. Tali differenze potrebbero derivare da fattori socioeconomici, ma nonostante ciò i genetisti hanno iniziato a cercare di stabilire differenze legate alla razza nelle frequenze delle variabili genetiche che provocano le malattie. Sembra che le stiano trovando.
La razza può anche influenzare la terapia. Gli afroamericani rispondono poco ad alcuni dei farmaci principalmente usati nel trattamento delle cardiopatie - in particolare i betabloccanti e gli inibitori dell´enzima che converte l´angiotensina. Le ditte farmaceutiche ne tengono conto. Molti nuovi farmaci oggi portano l´avvertenza che la loro efficacia può risultare ridotta per alcuni gruppi etnici o razziali. Qui, come tanto spesso avviene, il principio ispiratore è la semplice prospettiva di controversie legali.
Tali differenze sono, ovviamente, solo differenze in media. Tutti concordano che la discriminante razziale è uno strumento rozzo per prevedere chi sia destinato a contrarre determinate malattie o a rispondere a certe terapie. L´ideale sarebbe "sequenziare" il genoma di tutti prima di somministrare anche solo un´aspirina, ma finché non sarà tecnicamente possibile, è prevedibile che le classificazioni in base alla razza avranno sempre più peso in campo sanitario.
La tesi che avvalora l´importanza della razza, però, non poggia solo su basi puramente utilitaristiche E´ presente anche un fattore estetico. Siamo una specie fisicamente variabile.
Nonostante i trionfi della moderna genetica non sappiamo quasi nulla di ciò che ci rende tali. Non sappiamo perché alcuni individui hanno nasi prominenti piuttosto che schiacciati, crani arrotondati piuttosto che appuntiti, volti larghi piuttosto che allungati, capelli lisci piuttosto che ricci. Non sappiamo che cosa rende azzurri gli occhi azzurri.
Per scoprirlo si potrebbero studiare gli individui di origine razziale mista, in parte perché le differenze razziali nell´aspetto fisico sono quelle che più saltano all´occhio, ma c´è una ragione tecnica più sottile. Quando i genetisti mappano i geni, contano sul fatto di poter seguire i cromosomi dei nostri antenati per come si trasmettono da una generazione all´altra, dividendosi e mescolandosi in combinazioni imprevedibili. Ciò si rivela assai più semplice in soggetti i cui antenati provengono da luoghi assai diversi.
Questa tecnica si chiama admixture mapping (admixture=miscela, mapping= mappazione ndt). E´ stata sviluppata per individuare i geni responsabili delle differenze di carattere razziale presenti nelle malattie ereditarie ed è agli esordi dell´applicazione pratica. Ma grazie ad essa potremo forse scoprire la ricetta genetica dei capelli biondi di un norvegese, della pelle nera tendente al viola di un abitante delle isole Salomone, del volto piatto di un inuit, e degli occhi a mandorla di un cinese Han. Non guarderemo più con aria ebete ai dipinti della galleria. Sapremo fare i nomi dei pittori.
Esiste un´ultima ragione per cui la razza conta. Ci dà motivo, se non ve ne fossero già a sufficienza, di tenere in considerazione e proteggere alcune degli individui più sconosciuti ed emarginati del mondo. Riferendosi agli abitanti delle Andamane come ad appartenenti all´antico ceppo razziale negrito, l´articolo pubblicato da The Times of India usava una terminologia corretta. Negrito è il nome dato dagli antropologi ad un popolo diffuso un tempo nel sudest asiatico. Si tratta di individui di statura molto bassa, di pelle molto scura e con capelli ricciuti.
Sembrano pigmei africani migrati dalle giungle del Congo per andare a stabilirsi in un´isola tropicale, ma non lo sono.
I più recenti dati genetici suggeriscono che i negrito discendono dai primi esseri umani moderni che invasero l´Asia, circa 100.000 anni fa. Nel tempo furono invasi o assorbiti da ondate di popolazioni agricole del Neolitico e in seguito quasi spazzati via dai colonialisti britannici, spagnoli e indiani. Oggi sono confinati nella penisola malese, e in poche isole delle Filippine e delle Andamane.
Fortunatamente pare che gran parte dei negrito delle Andamane siano sopravvissuti allo tsunami di dicembre. Il destino di una tribù, i Sentinelesi, resta incerto, ma un elicottero della guardia costiera indiana inviato a controllare è stato vittima di un attacco con archi e frecce, il che è confortante. Le popolazioni negrito, ovunque si trovino, sono però così numericamente ridotte, isolate e impoverite che paiono con certezza destinate a scomparire.
Eppure anche dopo la loro scomparsa le varianti genetiche che li definivano come negrito resteranno, benché sparse, negli individui che abitano il litorale del Golfo del Bengala e del mar cinese meridionale. Resteranno visibili nella pelle di solito scura di alcuni indonesiani, nei capelli insolitamente ricci di alcuni cingalesi, nei fisici insolitamente esili di alcuni filippini. Ma la combinazione di geni unica che caratterizza i negrito, e che ha impiegato decine di migliaia di anni ad evolversi, sarà scomparsa. Una razza umana sarà andata estinta e la specie umana ne risulterà impoverita.

© New York Timesla Repubblica
Traduzione di Emilia Benghi

Fine articolo.

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Insomma, in conclusione dobbiamo imparare a distinguere le opinioni di scienziati ideologizzati e impauriti dal rischio di apparire razzisti dalla verità dei fatti.

Se tu preferisci continuare a fare oscurantismo e porti fuori dalla scienza continuando a negare l'esistenza delle razze sei libero di farlo... e troverai nella Chiesa, per sua natura retrograda, un valido sostegno a questa assurdità.
Tu preferisci stare con la politica? Io sono progressita e preferisco stare con la scienza, ma con quella libera da ogni condizionamento sia di carattere politico, sia di carattere religioso.
E con questo il discorso è chiuso dal momento che la genetica ha abbondantemente sconfessato le tesi di chi, ancora oggi, sostiene che le razze umane addirittura non esistano chiudendo colpevolmente le porte a nuove ricerche soprattutto in campo medico.

Edited by The scomunist - 25/1/2010, 02:10
 
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nanni
view post Posted on 25/1/2010, 02:34     +1   -1




CITAZIONE (The scomunist @ 24/1/2010, 21:51)
ho detto che se dovessimo stabilire classificazioni in base alla genetica molecolare non avrebbe senso perché da quel punto di vista, partendo dall'infinitamente piccolo, finiremmo inevitabilmente per apparire simili pure ai marziani.

Ed io questa tua affermazione francamente, non la capisco. Quello che siamo è determinato (in buona parte) dalla disposizione dei geni. Perché assumere questo punto di vista dovrebbe farci apparire simili ai marziani non mi è assolutamente chiaro, si tratta di un punto di vista scientifico dal quale è assolutamente impossibile prescindere. Tra l'altro è improprio parlare di "infinitamente piccolo", la scienza si occupa di cose molto ma molto più piccole.

Utilizzare esclusivamente l'apparenza esteriore per definire delle razze all'interno di una specie ci rimanda a Mendel, cancellando la scoperta del DNA e tutte le conoscenze che ne sono conseguite. Non vedo proprio cosa ci debba spingere a questa rinuncia.

CITAZIONE (The scomunist @ 24/1/2010, 21:51)
Infatti la genetica molecolare si propone di capire la complessità dei meccanismi ereditari sulla base della struttura di sostanze chimiche "inanimate", insomma... se dovessimo studiare la vita sulla Terra da questo punto di vista non dovremmo stupirci di trovare eventuali somiglianze con forme di vita extraterrestri.

Se si trovassero somiglianze tra la vita terrestre e la vita marziana, ammesso che esista, non ci sarebbe davvero nulla di strano. Confermerebbe semplicemente l'ipotesi, che è stata formulata ma è in attesa di conferme, secondo cui organismi avrebbero potuto viaggiare nello spazio all'interno di frammenti di crosta planetaria strappati ai pianeti da impatti meteorici.

Ma in che modo questo influirebbe sulla definizione di (eventuali) razze umane?


CITAZIONE (The scomunist @ 24/1/2010, 21:51)
vanno confutate certe teorie lamarkiane e, in parte, anche marxiste dell'influenza dell'ambiente come unico fattore capace di stabilire l'aspetto esteriore.

Non so a quali teorie tu ti riferisca, forse a quelle di Lisenko? E' noto che i fattori che determinano l'evoluzione sono fondamentalmente tre: la pressione ambientale, la selezione sessuale e la deriva genetica (drift). Quest'ultima, in particolare per quanto riguarda l'enorme parte del patrimonio genetico che, almeno in apparenza, non codifica per alcun carattere, è la più utile per individuare le parentele, essendo neutra rispetto all'ambiente.

CITAZIONE (The scomunist @ 24/1/2010, 21:51)
L'ambiente - sia naturale, sia storico, sia sociale, sia culturale - può solo influire sul "fenotipo", ovvero sul modo esteriore e contingente di manifestarsi, nel singolo o in un dato gruppo, di certe tendenze ereditarie e di razza, che restano sempre l'elemento primario, originario, essenziale e incoercibile.

Questo mi pare azzardato, passare dall'affermazione (corretta) secondo cui l'ambiente non è l'unico fattore che influenza l'evoluzione delle specie a quella secondo cui non avrebbe alcuna importanza è assurdo. La scienza, in ogni caso, dice un'altra cosa. Di fatto stai negando l'evoluzione.


CITAZIONE (The scomunist @ 24/1/2010, 21:51)
Per determinare la discendenza di 100 newyorkesi, prendere in considerazione il colore della pelle sarebbe molto utile per individuare gli europei, ma servirebbe a poco per distinguere i senegalesi dagli abitanti delle isole Salomone. Lo stesso vale per qualunque altra caratteristica del nostro corpo. La forma degli occhi, del naso, del cranio, il colore degli occhi e dei capelli, il peso, l´altezza e la villosità dei nostri corpi sono tutti elementi che, presi singolarmente, sono di scarso aiuto nel determinare le origini di un individuo.
Ma le cose cambiano se vengono considerati nell´insieme. Un certo colore della pelle tende ad associarsi ad un certo tipo di occhi, di naso, di cranio e di corporatura. Quando guardiamo uno sconosciuto ricorriamo a queste associazioni per dedurre da quale continente e persino da quale paese egli o i suoi avi provengano - e di solito non sbagliamo. In termini più astratti, le varianti fisiche umane sono correlate e le correlazioni contengono informazioni.
Le varianti genetiche che non sono scritte sui nostri volti, ma che sono individuabili solo nel genoma, mostrano correlazioni simili. Sono queste correlazioni che il dottor Lewontin sembra aver ignorato. In sostanza ha preso un gene alla volta, non riuscendo a vedere le razze. Ma se si prendono in considerazione più geni variabili (qualche centinaio) è facile individuarle.

A mio parere questo proposto è un metodo decisamente equivoco. In particolare è inapplicabile in un melting pot come New York, dove la mescolanza tra popolazioni di varie origine porta all'esistenza di individui che possono avere uno o più caratteri che li porterebbero ad essere identificati come "provenienti" da una determinata regione della terra e da una determinata popolazione che in quella terra vive. Di fatto però anche in individui che non hanno quei caratteri saranno presenti tracce, anche considerevoli, che appaiono tipiche di quelle stesse aree geografiche. Il fatto è che i singoli caratteri genetici si trasmettono singolarmente e, risalendo nell'albero genealogico, ciascuno di noi ha antenati appartenenti pressocché a tutte le etnie esistenti sulla terra, per cui caratteri considerati tipici di una determinata razza sono ampiamente diffusi tra le altre, anche quelli che codificano per aspetti visibili, ma che magari sono recessivi o comunque non sono compitamente espressi per altri motivi.

Interessante, a questo proposito, uno studio condotto su alcune mummie molto antiche ritrovate nella parte più occidentale dell'attuale Cina. Queste mummie presentano una varietà di caratteristiche che lasciano pensare ad una fusione tra elementi provenienti da est (quindi cinesoidi) e da ovest (quindi caucasoidi). Le caratteristiche cinesoidi o caucasoidi sono facilmente rilevabili da un semplice esame dello scheletro, in particolare dalla parte anteriore del cranio: la faccia. Come è noto. Ma queste mummie erano sufficentemente ben conservate da permettere un esame genetico, che ha rivelato alcune cose interessanti: c'erano degli individui dall'aspetto di cinesi che però, una volta sequenziato (per quanto possibile) il genoma, sono apparse assai più imparentati con i caucasici, a livello statistico, che con i cinesi veri e propri. Viceversa corpi dall'aspetto pressocché europeo, all'esame del dna, hanno mostrato molti più caratteri propri delle popolazioni cinesi.

L'apparenza inganna.

CITAZIONE (The scomunist @ 24/1/2010, 21:51)
- mentre tu erroneamente affermi che non esiste alcun set di caratteri che sia esclusivo di una determinata razza umana -

Che io lo faccia erroneamente lo devi ancora dimostrare.

CITAZIONE (The scomunist @ 24/1/2010, 21:51)
Uno studio del 2002 condotto da scienziati dell´Università della California del Sud e di Stanford ha dimostrato che suddividendo con l´ausilio del computer un campione di individui provenienti da tutto il mondo in 5 gruppi diversi in base all´affinità genetica si ottengono gruppi originari dell´Europa, dell´Asia orientale, dell´Africa, dell´America e dell´Australasia che corrispondono in linea di massima alle principali razze secondo l´antropologia tradizionale.

In linea di massima, appunto. Si tratta di correlazioni statistiche. Certi caratteri sono più diffusi in alcune popolazioni e meno in altre. Il che falsifica la seguente tua affermazione:

CITAZIONE (The scomunist @ 24/1/2010, 21:51)
- questo perché effettivamente ESISTONO set di caratteri che sono esclusivi di un determinato gruppo razzale.

Perché non esiste alcun set di caratteri che si possa considerare esclusivo di una particolare razza umana e che quindi non si possa trovare, anche se magari con frequenza molto rara, nelle altre.

CITAZIONE (The scomunist @ 24/1/2010, 21:51)
Per sapere in che proporzione i tuoi geni sono africani, europei o dell´Asia orientale, bastano un tampone orale, un francobollo e 400 dollari,

Ecco, appunto: in che proprozioni. Ciascuno di noi ha geni di provenienza africana, asiatica e persino amerinda o australiana. Se noi osserviamo un gruppo di persone sufficentemente omogeneo per provenienza, ci risulta abbastanza facile identificarne l'origine, ma per un singolo individuo, a causa della varietà genetica diffusa all'interno delle popolazioni umane, può anche essere molto difficile e fonte di errori. Per esempio mio padre ha gli occhi a mandorla. In realtà questo dovrebbe derivare da una nascita forzata con il forcipe, però se lo metti in un gruppo di cinesi è facile che passi inosservato.

CITAZIONE (The scomunist @ 24/1/2010, 21:51)
Studiando un numero adeguato di geni in un numero adeguato di individui si potrebbe suddividere la popolazione mondiale in 10, 100, forse 1.000 gruppi, ciascuno locato in un qualche punto del globo. Non è ancora stato fatto con precisione ma lo sarà. Forse sarà presto possibile identificare i nostri antenati non solo come africani o europei, ma Ibo o Yoruba, forse persino celti o castigliani, o quant´altro.

Si può fare e lo si è fatto ma, ripeto, sono solo correlazioni statistiche. Tanto che di solito si utilizza la genetica insieme alla linguistica per avere un riscontro che, altrimenti, non sarebbe sufficentemente oggettivo.

Mi fermo qua con l'esame dell'artcolo che hai postato. Visto che insiste sugli stessi argomenti. Non che le cose che scrive siano del tutto sbagliate, anche se la foga polemica lo spinge sopra le righe. E' che quello che lui definisce "razze" dal punto di vista scientifico continuano a non esserlo, perché non basta una correlazione statistica sulla probabilità di ritrovare alcuni caratteri all'interno di una popolazione piuttosto che un'altra, per definire delle razze. E' questo che sostengono i biologi e, man mano che si andrà avanti, è inevitabile che anche le correlazioni statistiche diventino sempre meno significative, dato il continuo e sempre più accentuato rimescolamento che sta avvenendo nell'umanità.

CITAZIONE (The scomunist @ 24/1/2010, 21:51)
Se tu preferisci porti fuori dalla scienza continuando a negare l'esistenza delle razze sei libero di farlo.
Tu preferisci stare con la politica? Io preferisco stare con la scienza.
E con questo il discorso è chiuso.

La scienza sostiene quello che sostengo io. La persona di cui hai citato l'articolo sembra avere un'idea decisamente imprecisa su cosa si intenda, in biologia, per razza. Leggo che è un esperto in nematodi. Forse sui nematodi ne sa di più.

Poi tu pensala come ti pare.
 
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vit.
view post Posted on 25/1/2010, 06:24     +1   -1




interessante questione, vi leggo con piacere ed attenzione e c'è sempre da imparare, anche se mi pare che il vero punto debba ancora balzare fuori...
 
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nanni
view post Posted on 25/1/2010, 07:16     +1   -1




Il vero punto te lo dico io, qual'è. E' in questa affermazione:
CITAZIONE
La topografia fisica del nostro mondo non può essere descritta con precisione a parole. Per esplorarla serve una carta topografica che riporti quote, linee di contorno e griglie di riferimento. Ma è difficile parlare in cifre, così diamo un nome alle configurazioni più significative del pianeta: catene montuose, altopiani, pianure. Lo facciamo a dispetto dell´intrinseca ambiguità delle parole.

Che vuol dire questo? Che le razze, come la topografia, non sono definibili, non hanno confini come non hanno confini i territori. Sappiamo intuitivamente cosa sia l'Europa e cosa sia l'Asia, però i confini che separano i due continenti sono ambigui e, sostanzialmente arbitrari. Un costrutto umano.

Servono ad un solo scopo, a permettere di dare un nome che ci è utile per orientarci. Così a noi sembra intuitivo che l'umanità sia suddivisa in razze, vediamo che in Africa, al di sotto del Sahara, hanno la pelle scura, che in Asia orientale hanno gli occhi a mandorla. Se cerchiamo di definire con precisione scientifica cosa siano queste differenze immediatamente esse ci scivolano via dalle dita, non siamo in grado di tracciare confini tra una presunta razza e l'altra. Se cerchiamo di affidarci alla biologia per definire delle razze questa non ci aiuta, perché, dal punto di vista della biologia, le razze umane non esistono. Eppure ci serve affermare che esistano per poter dar loro un nome, per orientarci come si fa su di un territorio.

Così anche le razze si rivelano per un costrutto del pensiero umano, ma c'è dell'altro: per identificarle ci serviamo di archetipi. L'archetipo dell'europeo è un teorico individuo che ha tutte e solo le caratteristiche che noi attribuiamo all'essere europeo, in un delirio frattale poi possiamo parlare di un archetipo del basco e via sezionando. Ma questi individui archetipici non esistono e non sono mai esistiti.

L'idealismo è oggi il fondamento del pensiero di destra, coerentemente, seguendo questa strada, si arriva a negare l'evoluzione o sostenere teorie pseudo scientifiche come quelle del disegno intelligente. Ci si può, naturalmente, accontentare di molto meno, come fa, o sembra fare, il nematodologo citato da Scomunist.

Ma si tratta comunque di un errore, perché l'evoluzione, con il suo percorso ondivago e casuale, nega qualsiasi possibilità che esistano archetipi. Per esempio i Greci descritti nell'Iliade erano biondi, col tempo si sono mediterraneizzati. Dobbiamo dedurne che il loro stesso archetipo si sia evoluto?


 
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Falangista_1
view post Posted on 25/1/2010, 20:41     +1   -1




Stò seguendo con ovvio interesse le discusssione che si sono generate in seguito all'apertura del mio tread.
Naturalmente non posso che essere concorde con THE SCOMUNIST , alle cui argomentazioni mi sembra che ci sia poco da aggiungere.
Razze come costrutto delle mente umana? Questo si che è un azzardo vero e proprio, ovvero voler negare l'evidenza dei fatti!
 
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nanni
view post Posted on 26/1/2010, 07:04     +1   -1




CITAZIONE (Falangista_1 @ 25/1/2010, 20:41)
Razze come costrutto delle mente umana? Questo si che è un azzardo vero e proprio, ovvero voler negare l'evidenza dei fatti!

Sarà anche un azzardo, ma non sono io a farlo, bensì proprio il ricercatore citato da Scomunist, Armand Marie Leroi.
Lo fa con la metafora che ho citato nel mio ultimo post. Infatti cosa sono le mappe, la toponomastica e la topografia in genere se non costrutti della mente umana?

La mappa non è il territorio (Alfred Korzybski - Semantica Generale). Certo le mappe sono utili, nella fattispecie ci possono aiutare a capire le grandi migrazioni del passato. Però una suddivisione in razze della specie umana non rispecchia la sua struttura biologica.

E non basta l'affermazione di un singolo scienziato, che per di più sta operando ben al di fuori della sua specializzazione, a rendere vero il contrario. Mi si citi qualcuno il cui campo di studio sia la biologia umana, se si vuole dimostrare l'esistenza di razze umane.

Io posso citarne di innumerevoli che sostengono il contrario.
 
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lupetto_sulla_zattera
view post Posted on 26/1/2010, 10:19     +1   -1






Ogni individuo è una razza a sé


Il vizio di suddividere la specie umana in razze usando la biologia, e da qualche anno perlustrando i recessi molecolari del genoma, resiste strenuamente nonostante le ripetute sconfitte collezionate sul piano sperimentale. Il tenace attaccamento a un concetto vuoto - che è costato ad alcuni genetisti l’accusa di aver rimosso le razze umane soltanto per motivi politically correct - trascina la scienza nell’arena del dibattito politico e alimenta una storia piena di colpi di scena.

E’ di pochi giorni fa la notizia, apparsa sulla rivista Nature, di nuove scoperte nel campo degli studi sulla variazione genetica umana riscontrata fra individui appartenenti a popolazioni diverse del globo. Questa volta i dati comparativi non riguardano le differenze fra geni presi a caso, ma le differenze fra il numero di copie di sequenze di DNA presenti nei genomi di individui diversi. Gli scopritori sottolineano con una certa enfasi di aver trovato una “marcata variazione nel numero di copie fra le popolazioni umane”. E il dibattito si riapre. Dobbiamo intendere questa importante scoperta come un segnale di speranza per le tanto vituperate, e tanto attraenti, “razze umane”?

L’articolo di Nature, dal titolo “Global variation in copy number in the human genome”, è firmato da 43 ricercatori appartenenti a 13 istituzioni scientifiche sparse fra Nordamerica, Europa e Giappone. La prima mappa globale del genoma umano basata sulla variazione nel numero di copie di sequenze è stata realizzata esaminando il corredo genetico di 270 individui provenienti da popolazioni europee, africane e asiatiche. Il dato più impressionante è che circa il 12% del genoma è costituito da regioni di DNA che presentano variazioni nel numero di copie di sequenze.

Fra le molteplici mutazioni che possono interessare il genoma delle specie ve ne sono alcune che non modificano in singoli punti le sequenze del DNA, bensì ne alterano la lunghezza. Delezioni, inserzioni, duplicazioni e altri meccanismi possono cioè aggiungere o togliere materiale genetico da una certa regione del genoma. Si tratta di “polimorfismi” nel numero di copie dei segmenti di DNA, che influenzano poi l’espressione dei geni e la fisiologia di un organismo.

Queste mutazioni spesso sono pericolose per l’individuo, soprattutto le delezioni, perché alterano le sequenze di basi dei geni, ne pregiudicano la regolazione e causano malattie anche molto gravi. Ma il paradosso dell’evoluzione è che le mutazioni sono anche la materia prima del cambiamento, perché in presenza di una certa pressione selettiva da parte dell’ambiente una minoranza di esse potrebbe rivelarsi utile alla sopravvivenza e favorire i suoi portatori. Non solo, le duplicazioni di geni producono quella ridondanza di sequenze a cui la selezione naturale può attingere per insegnare nuovi trucchi a vecchi geni.

Un primo significato della scoperta, forse il più importante, riguarda dunque la struttura generale del genoma umano e la complessità della sua variazione. Gli scienziati hanno individuato 1447 regioni discrete di Dna con variazioni di lunghezza. Queste regioni stanno preferibilmente al di fuori dei geni e delle zone più conservatrici del genoma, che sono connesse a funzioni vitali per le quali una mutazione di lunghezza sarebbe altamente deleteria, ma in quel 12% di genoma variabile per lunghezza sono inclusi comunque centinaia di geni e di altri elementi funzionali. I dati suggeriscono una conclusione sorprendente: forse il grosso della diversità genetica umana non è dovuto a mutazioni puntiformi di singole basi, ma alla presenza o assenza di più lunghi segmenti di genoma.

Gli autori dell’articolo sono riusciti a identificare quali tipi di funzione assolvono i geni che sono interessati dalla presenza di queste regioni mutevoli. Hanno così scoperto che i geni più propensi a duplicarsi sono quelli che si occupano dell’adesione cellulare, dell’olfatto e dei processi neurofisiologici. Al contrario, i geni meno esposti a duplicazione sono quelli coinvolti nelle comunicazioni fra cellule durante lo sviluppo e nella divisione cellulare: è la prova che esiste una forte selezione negativa contro le variazioni di geni che modulano i processi di sviluppo e che controllano la proliferazione cellulare.

Una seconda implicazione della scoperta riguarda quindi il ruolo di queste regioni variabili nell’insorgenza di malattie. Gli autori mostrano come le variazioni di lunghezza nelle sequenze geniche potrebbero essere coinvolte non soltanto in alcune malattie ereditarie rare, come si è pensato finora, ma in una gamma più ampia di patologie che coinvolgono più geni e interazioni complesse fra geni e ambiente. Si tratta insomma di una forma di variazione genetica cruciale, probabilmente sottostimata finora, distribuita lungo tutto il genoma e con vaste influenze sulle caratteristiche degli individui.

Qualche dubbio sulla portata di questa mappa di variazioni umane emerge invece quando passiamo alle differenze fra le etnie esaminate. Il campione utilizzato è piuttosto ristretto, solo quattro popolazioni, selezionate per massimizzare le differenze fra continenti: le linee cellulari provengono da 90 Yoruba della Nigeria, da 90 mormoni di origine europea dello Utah, da 45 giapponesi di Tokyo e da 45 cinesi Han di Pechino. Il dato riguardante la variazione genetica umana fra popolazioni, letta in termini di numero di copie di sequenze di DNA, è dunque molto interlocutorio. Dalle comparazioni descritte nell’articolo emerge che circa l’11% della variazione nel numero di copie si presenta fra popolazioni diverse, mentre il rimanente 89% dipende da variazioni individuali all’interno di ciascuna popolazione.

Come dobbiamo interpretare questo dato? Non significa ovviamente che fra popoli diversi vi sia una differenza genetica pari all’11% dell’intero genoma. Adesso sappiamo, piuttosto, che fra i genomi di due individui qualsiasi possono esserci milioni di basi di differenza in più o in meno. Finora la varianza genetica fra popolazioni era stata calcolata comparando i geni e misurando le differenze nelle sequenze. Qui invece si misura non tanto la variabilità nella composizione delle sequenze, quanto la variabilità nella loro lunghezza. In sostanza, è possibile che fra me e un mio vicino di casa le sequenze di basi siano molto simili, ma che il numero delle loro copie sia diverso. Che dire invece delle differenze fra un europeo e un aborigeno australiano?

Il genetista di Harvard Richard Lewontin scopriva già nel 1972 che ogni essere umano, qualsiasi sia la sua provenienza, deve l’85% della sua variabilità genetica alle peculiarità individuali, mentre il restante 15% soltanto è dovuto all’appartenenza a popolazioni diverse. Si trattava di un’evidenza schiacciante contro qualsiasi tentativo di fondare geneticamente una differenza “razziale” fra gli esseri umani. L’intuizione di Lewontin fu poi suffragata da un’appassionante sequela di scoperte evoluzionistiche. La teoria dell’origine africana recente di Homo sapiens ha accumulato una tale mole di prove archeologiche e molecolari che possiamo ormai ritenerla assodata. L’intera umanità attuale è figlia di un piccolo manipolo di sapiens originatisi in Africa intorno a 200mila anni fa e poi migrati, forse attraverso ondate successive a partire da 100mila anni fa circa, in tutto il resto del mondo. Cade pertanto l’ipotesi cosiddetta “multiregionale”, secondo cui i ceppi di popolamento sapiens nei diversi continenti sarebbero stati i discendenti della diaspora molto più antica di Homo erectus. In quel caso le “razze” umane avrebbero avuto una storia di un milione e mezzo di anni alle spalle e dunque qualche ragione (biologica) di esistere in quanto varietà geografiche antichissime o addirittura sotto-specie.

Oggi sappiamo invece che la storia naturale dell’umanità non ha seguito un percorso così lineare. Fino a pochissimo tempo fa su questo pianeta esistevano almeno tre specie umane contemporaneamente, forse quattro. Quando sapiens esce dall’Africa incontra i discendenti di una diaspora più antica, cominciata 1,8 milioni di anni prima per opera di Homo ergaster. Fino a poco meno di 30mila anni fa condividono il Medio oriente e l’Europa con l’Uomo di Neanderthal. I sapiens condividono inoltre l’estremo oriente con gli erectus e incrociano sull’isola di Flores, in Indonesia, quello che molto probabilmente fu un discendente di piccole dimensioni di erectus, Homo floresiensis, annunciato con grande sorpresa nel 2004 ed estintosi a quanto pare soltanto 18mila anni fa. Le comparazioni genetiche sempre più precise sviluppate dagli antropologi molecolari - come quelle di Svante Paabo sui neanderthal, l’ultima delle quali è terminata nel settembre 2006 - hanno contribuito a dimostrare la separazione di specie fra sapiens e neanderthal.

In questa storia le “razze” trovano poco spazio. Esse si formano all’interno di una specie quando processi di isolamento geografico prolungato, o indotto per selezione artificiale come nei cani e nei cavalli, sedimentano divergenze genetiche sensibili fra i gruppi. I dati molecolari attestano che le differenze fra i popoli della Terra risalgono soltanto a qualche decina di migliaia di anni. Non c’è stato il tempo materiale perché si formassero “razze”. Inoltre, la specie umana da quando è nata ha mostrato una spiccata tendenza alla migrazione, all’ibridazione, in breve al rimescolamento dei geni. Se anche fosse iniziato un processo di differenziazione razziale, sarebbe stato ben presto vanificato da questo continuo flusso genico. Ecco perché la diversità genetica umana è distribuita in modo continuo su tutti i continenti – e in misura un po’ maggiore nella nostra culla africana che conserva le variazioni più antiche - e non presenta “grappoli” di variazioni genetiche riconducibili con certezza a razze umane.

Essendo Homo sapiens una specie giovane, discendente da un gruppo africano iniziale ristretto, i sei miliardi e più di individui che la compongono oggi sono tutti strettamente imparentati fra loro. Secondo un calcolo di Douglas Rohde, ciascuno di noi condivide con qualsiasi altro essere umano un antenato comune vissuto circa tremila anni fa. Siamo davvero tutti cugini, più o meno alla lontana. Quindi in termini assoluti la variabilità genetica fra esseri umani è bassissima.

Dentro questa ragnatela di fitte parentele e di scambi genetici, siamo però ognuno diverso dall’altro. “Tutti parenti, tutti differenti”, come ha chiosato brillantemente l’antropologo André Langaney. Ed è proprio rincorrendo queste piccole differenze fra popolazioni che genetisti come Luca Cavalli Sforza sono riusciti negli anni a ripercorrere i grandi tracciati del popolamento umano sulla Terra, le migrazioni dei primi cacciatori raccoglitori, le espansioni degli agricoltori, i meticciati e le ibridazioni che annodano le radici di tutte le “civiltà” umane. Nel 2005 un gruppo coordinato da Cavalli Sforza ha proposto una correlazione sistematica fra la distanza geografica, calcolata tenendo conto delle barriere fisiche e dei corridoi di espansione, e la distanza genetica fra individui di regioni differenti.

In questo spicchio prezioso di diversità entrano allora in gioco le minuscole ma significative mutazioni differenti previste da Lewontin, che per l’85% dobbiamo alla nostra storia individuale e per il 15% alla nostra appartenenza a un particolare gruppo di nostri simili localizzato geograficamente o storicamente, e quindi soggetto a derive genetiche e a pressioni selettive particolari che generano le superficiali (e spesso ambigue) differenze antropometriche che illudono i nostri occhi: il colore della pelle e dei capelli, la fisionomia, la carnagione, la corporatura.

Ebbene, quelle percentuali erano ottenute comparando sequenze di geni o DNA non codificante. L’articolo di Nature aggiunge nuove informazioni, relative questa volta alle differenze nel numero di copie: il dato si attesta sull’89% per la variabilità all’interno delle popolazioni (cioè differenze che si riscontrano mediamente fra due individui della stessa popolazione) e sull’11% per la variabilità fra popolazioni. Appartenere a due popolazioni diverse aumenta, mediamente, dell’11% la probabilità di avere differenze genetiche di questo tipo. Quindi il dato è ancora più basso dei precedenti e toglie altra acqua al mulino dei sostenitori delle differenze genetiche a base razziale.

Parlare di “razze” ha dunque poco senso per la genetica umana, non per il nostro immaginario politically correct, ed è meglio attenersi al più corretto termine di “popolazione”. La genetica medica può continuare benissimo a studiare le malattie tipiche di alcune “popolazioni” senza per questo riabilitare le razze. Il messaggio che emerge prepotentemente da queste scoperte è semmai quello della radicale unicità genetica del singolo individuo, da alcuni scienziati battezzata “individualità genomica”. La diversità umana si gioca in larga misura fra individui e in piccola parte fra popolazioni.

Nonostante sia chiaro da decenni che si tratta di un costrutto sociale, il concetto infondato di razza biologica umana mantiene un fascino tutto particolare. Nel 2005 lo scienziato inglese Armand Marie Leroi ha riaperto la questione sul New York Times, sostenendo che le razze umane sono identificabili attraverso non meglio identificate mutazioni correlate: gli scienziati di sinistra le rifiutano soltanto per motivi politici. Sarà, ma nel frattempo i tentativi di resuscitare le razze per via medica non sembrano convincere. L’attribuzione ai gruppi razziali di specifici complessi di geni, da cui dipenderebbero propensioni ben definite a sviluppare certe malattie, si scontra con l’evidenza empirica di una variabilità genetica umana distribuita in modo continuo nello spazio geografico e non per gruppi distinti. Che utilità può avere, a parte quella della propaganda commerciale, ricorrere a etichette razziali per progettare farmaci mirati su malattie la cui origine genetica è con molta più probabilità identificabile studiando le varianti individuali?

Come ha mostrato con efficacia e gradevolezza di stile il genetista Guido Barbujani nel suo ultimo libro, L’invenzione delle razze (Bompiani, 2006), né gli antropologi né i politici si sono mai messi d’accordo su una classificazione condivisa delle presunte razze umane: “a seconda del carattere considerato, variano il numero e la definizione delle razze”. Da Linneo a Buffon, da Blumenbach a de Gobineau, fino a Carleton Coon negli anni sessanta del Novecento, ciascuno si è costruito la propria scala razziale su misura. Perfino le polizie di New York e di Londra, ancora oggi, per identificare i delinquenti usano tipologie razziali completamente diverse. Così i genetisti, se si mettono a osservare nel dettaglio quel 15% o 11% di variazione fra continenti, notano che non vi è alcuna distribuzione coordinata di pacchetti di varianti fra le popolazioni: cambiando i tratti di DNA in esame cambiano completamente le mappe geografiche corrispondenti. Alla fine, come ha ironicamente concluso Paabo, ogni individuo fa razza a sé.

Eppure alcuni scienziati americani tornano a sostenere tesi secondo cui “bisogna tener conto della razza per non buttar via soldi in farmaci inutili o in progetti scolastici destinati a fornire inutili vantaggi a chi è condannato dai propri geni a non farcela”. Segno che le razze esistono, certo, ma come confini ben radicati nelle nostre teste e in quella sfera inventiva della natura umana che chiamiamo “evoluzione culturale” e che con i geni instaura un rapporto di parentela sì, ma non di obbedienza.

Telmo Pievani
 
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